
Anche dopo la ripartenza resteranno in giro per mesi migliaia di soggetti contagiati, spesso asintomatici. Questo espone a rischio di contagio l’installatore che li incontra e può portare a un provvedimento di nuova quarantena individuale per la sua azienda. La soluzione? Dotarsi di protocolli adeguati e poterne dimostrare in modo inoppugnabile l’assoluto rispetto.
Le aziende riaprono, gli installatori tornano a fare il loro mestiere ma per tutti resta il pericolo di nuovi contagi che minaccia la stessa sopravvivenza della loro azienda (in caso di nuovi stop individuali emessi dalle autorità), la produttività (qualora le procedure anticontagio fossero poco compatibili con i processi aziendali) e soprattutto la responsabilità penale dell’imprenditore, che deve temere i casi di contagio direttamente o indirettamente connessi con la sua impresa.
Tuttele aziende senza alcuna esclusione, dalla grande manifattura al piccolo installatore, si trovano oggi di fronte al grande rischio di vedersi nuovamente imporre una chiusura mirata, il cosiddetto “lockdown chirurgico”, che potrebbe colpirle in tre casi:
– a seguito di una ispezione ASL, se l’installatore non fosse in grado di produrre una inequivocabile dimostrazione materiale del rispetto dei protocolli di sicurezza sottoscritti per la riapertura (per esempio, se non fosse in grado di fornire le prove che tutti, in azienda o sul cantiere, usano le mascherine o che lavorano mantenendo le previste distanze sociali);
– a seguito di un caso di infezione tra uno dei dipendenti, se l’installatore non è in grado di perimetrare con
precisione e con documentazione inequivocabile gli spostamenti e i contatti del suo dipendente infetto nei giorni/settimane precedenti la comparsa dei sintomi;
– a seguito di un caso di infezione di un contatto occasionale, se l’installatore non fosse in grado di dimostrare con precisione e con documentazione inequivocabile tutte le possibili occasioni in cui qualcuno dell’impresa ha incontrato la persona contagiata all’interno dell’azienda o fuori (per esempio sul cantiere, nei suoi uffici, in un meeting, eccetera).
Perché è dannoso per l’azienda dell’installatore?
Lo stop precauzionale obbligato all’attività dell’installatore al verificarsi di una di queste tre evenienze (assai
probabili, purtroppo) costituisce una iattura anche peggiore del periodo di quarantena generale appena trascorso.
Durante la quarantena infatti i concorrenti erano bloccati e non potevano approfittarne ma dopo la ripartenza, quando tutti i concorrenti sono attivi e alla frenetica ricerca di clienti per recuperare fatturati, essere bloccati significa perdere ben più di singole commesse perché vengono compromessi rapporti globali con i clienti, oltre alla pessima pubblicità che deriverebbe all’installatore se, a causa del suo fermo coattivo, finisse su media online e giornali etichettato come probabile untore, fonte di un nuovo focolaio.
Perché è dannoso per l’installatore imprenditore?
Sul piano personale i danni vanno addirittura oltre: sul datore di lavoro grava infatti una posizione di garanzia per tutti i rischi connessi all’attività lavorativa o scaturenti da fattori esterni ed estranei al processo produttivo. Questo, nel malaugurato ma possibile caso di un contagio intraziendale, lo esporrà alla contestazione di reati quali le lesioni colpose o, nel caso più grave, l’omicidio colposo se non potesse dimostrare in modo ineccepibile di essersi attivato in modo adeguato per eliminare o ridurre al massimo ogni rischio per i suoi dipendenti. È importante sapere, in questo ambito, che il rischio di contagio da Covid19 è stato qualificato come rischio biologico ambientale che coinvolge qualunque ambiente, lavorativo e non, che implichi la concentrazione di più persone. Si tratta quindi di un rischio esterno all’attività lavorativa,che muove da fattori esogeni rispetto all’azienda e non governabili dal datore di lavoro.
Il DVR? Va aggiornato!
Il sistema di prevenzione con l’assetto normativo operato dal D. Lgs 81/08 e s.m.i. offre la naturale infrastruttura per un approccio integrato alla valutazione e gestione del rischio connesso all’attuale emergenza pandemica (vedi documento tecnico INAIL 23.04.2020); tuttavia la necessità di adottare azioni ad integrazione del documento di valutazione dei rischi (DVR) per prevenire il rischio di infezione non esaurisce gli obblighi che al datore di lavoro derivano dalle normative nazionali e regionali specifiche in materia anti-contagio.
Il Protocollo è fondamentale ma non basta
Anche dopo aver aggiornato il DVR con la nuova classificazione del rischio anti-contagio, resta dunque in capo al datore di lavoro l’obbligo di uniformarsi alle condotte che garantiscono in concreto la tutela della salute dei propri dipendenti e il contenimento del rischio da contagio. A tale riguardo il Governo con le associazioni di categoria ha sottoscritto un Protocollo recante la “regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID19 negli ambienti di lavoro non sanitario”, poi rivisto ed aggiornato nel Protocollo 24.04.2020, fornendo nuove linee guida.
Diventa quindi necessario predisporre le misure necessarie a prevenire il rischio di contagio da Covid19 per tutelare la salute dei lavoratori e scongiurare possibili contestazioni di natura penale, garantendo comunque la produttività, le dinamiche aziendali e i diritti dei lavoratori. È un’operazione non semplice, dato che il Protocollo investe ambiti eterogenei che andranno regolamentati in modo diverso, bilanciando diritti dei lavoratori ed esigenze della realtà aziendale; l’imprenditore che possa dimostrarne in modo certo l’adozione e il totale rispetto avrà però il notevole beneficio di essere esonerato, in ambito civilistico, dalla prova diabolica dell’aver fatto tutto quanto necessario a garantire la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, così come richiesta dal già citato art. 2087 c.c..
Oltre il Protocollo
Tuttavia, se la concreta e specifica organizzazione aziendale lo richiede, l’imprenditore non può sottrarsi dall’obbligo di adottare precauzioni perfino ulteriori. Questa condotta attiva non è di facile realizzazione e in più potrebbe facilmente accadere che procedure estremamente rigide, che non tenessero conto delle specificità dell’azienda, portassero a una sostanziale paralisi dell’attività e/o a ledere i diritti dei lavoratori stabiliti nei contratti individuali e collettivi.
Procedure copia e incolla, protocolli fai da te? Ahi, ahi ahi…
La necessità di tracciare gli interventi attuati in azienda è stata richiamata anche dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro che in una nota ha fatto esplicito riferimento all’importanza di “formalizzare l’azione del datore di lavoro con atti che diano conto dell’attenzione posta al problema in termini di misure, comunque adottate e adottabili dal punto di vista tecnico, organizzativo e procedurale, nonché dei DPI ritenuti necessari,in attuazione delle indicazioni nazionali, regionali e locali delle istituzioni a ciò preposte”. Le criticità sono di tipo e complessità anche radicalmente diverse da azienda ad azienda e questo esclude ogni possibilità di:
• soluzioni imitative (“faccio comeha fatto lui”)
• approcci superficiali (“Regole e procedure? Sono affisse in bacheca, no?”)
• avvalersi esclusivamente delle canoniche figure di riferimento per la sicurezza, che hanno competenze per la gestione ordinaria ma che non sono preparate alla gestione di situazioni di emergenza come questa.
La soluzione esiste?
La via d’uscita però esiste se si affronta il problema a livello manageriale, con una soluzione basata su un pool multidisciplinare di specialisti in campo aziendale, organizzativo, legale e sindacale per un approccio strategico e integrato, con assistenza di lunga durata. Questo pool non si pone in alternativa ai vari specialisti di sanificazione, fornitori di dispositivi o a consulenti di altri servizi che operano in modalità stand alone. Al contrario, il pool deve applicare una strategia che coinvolge i soggetti di cui sopra e ne valorizza il ruolo integrandoli in un piano globale che ne razionalizza il lavoro e mette l’imprenditore e l’impresa in una posizione di maggior sicurezza.
Il processo si deve svolgere sostanzialmente in due passaggi. Innanzitutto, vanno studiate tutte le misure necessarie ad abbattere il rischio, nei locali e sui cantieri, in modo da riportarlo nell’area del cosiddetto rischio consentito; successivamente, si devono mettere a punto metodi operativi che consentano di provare, in qualsiasi momento, che i provvedimenti hanno reale e continuativa attuazione. Questo significa creare, mantenere e dimostrare la persistenza ininterrotta di tutti i presupposti per una situazione in cui:
– i dipendenti abbiano la garanzia di operare in un contesto con un livello di sicurezza quantomeno pari a quello esterno;
– l’azienda possa inequivocabilmente dimostrare che questa sicurezza è effettivamente garantita.
Per arrivare a questo risultato però non basta più il ricorso alle classiche professionalità che operano con i consueti strumenti della gestione della sicurezza sul luogo di lavoro; occorre invece far ricorso a nuove professionalità che conoscano sia le dinamiche del lavoro di un’impresa che fa installazione elettrica sia le normative da rispettare, sia gli strumenti organizzativi per creare soluzioni capaci di dare alle imprese modo di dimostrare sempre e comunque il proprio rispetto delle procedure, senza ingessarne l’attività trasformandole in produttori di moduli e certificazioni.
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