
Non solo produttori e distributori, i primi coinvolti in questa crisi dovuta al diffondersi del Coronavirus sono gli installatori: artigiani o imprese più strutturate che devono tuttavia fare i conti con l’emergenza e i nuovi obblighi imposti dal Governo. Abbiamo quindi deciso di dar loro voce attraverso i nostri mezzi.
Enrico Maccioni, Elettricista e Termoidraulico presso Energy Impianti.
Nel Sud della Sardegna è quasi impossibile lavorare e non sempre si garantisce il protocollo di sicurezza. Io sono da 3 giorni rinchiuso in casa, certi cantieri sono chiusi e i fornitori lavorano con limitazioni. É quasi impossibile andare avanti, si lavora con la paura di tornare a casa infettati e di trasmettere il virus ai nostri figli, non si può continuare così…
Antonio Mauro, titolare della Mauro Impianti Elettrici, azienda individuale, fondata nel 1999, con due dipendenti a tempo indeterminato oltre a Loredana, moglie di Antonio che supporta concretamente il marito nella sua attività.
Devo dire che già da fine gennaio, in occasione del mio ultimo viaggio a Bergamo, ho avuto la concreta percezione che questa problematica si sarebbe diffusa anche da noi, dato che tutti i viaggiatori di nazionalità asiatica, già da quei giorni, viaggiavano muniti di opportuna mascherina. Tuttavia, come tanti, fino alla notizia del primo contagiato nel nostro Paese, ho continuato spedito nelle attività di tutti i giorni come se niente fosse. Poi dalla notizia diffusa dai media riguardanti i primi contagi nella zona di Codogno mi sono convinto di come il problema fosse più grande di quanto si pensava inizialmente e che avrebbe certamente impattato la vita di tutti noi.
Già da qualche settimana ho limitato gli spostamenti, miei e soprattutto dei miei collaboratori, prediligendo lavori all’aperto in posti abbastanza isolati con poche persone rispetto ad attività in città e nei cantieri dove ci sono molte persone; tutto ciò fino al 10 Marzo scorso, dopo il decreto annunciato dal Presidente del Consiglio, ho avuto non pochi dubbi sul proseguire l’attività lavorativa perché, anche se come categoria siamo indispensabili, ho pensato ai miei collaboratori, alle loro famiglie, oltre ovviamente alla mia, dato che quando torniamo a casa potremmo trasformarci in possibili untori.
La prima cosa che ho fatto al mattino successivo è stata quella di chiedere ai miei collaboratori se volessero continuare a lavorare o preferissero rimanere a casa. La risposta è stata quella di volere continuare a lavorare fino a disposizioni contrarie da parte degli organi di Governo, e devo dire che questa risposta per me non è stata affatto scontata, dato che avrei certamente compreso anche il contrario. Le loro reazioni mi hanno dato una carica in più a continuare l’attività, ovviamente limitando gli interventi a esclusivi casi di emergenza e utilizzando tutte le precauzioni dettate dalla comunità scientifica in questi giorni.
A dire il vero mi ero comunque fatto un piano B in testa che prevedeva lo stop dei miei collaboratori almeno fino al 3 aprile con gestione dei casi di emergenza da parte mia in totale autonomia, ritenendo che in questi casi, anzi soprattutto in questi casi, noi dobbiamo dare il nostro contributo alla popolazione alla pari di medici e infermieri assumendoci i rischi del caso. Personalmente, per come sono fatto, davanti a una richiesta di aiuto per un black out (specialmente in questo particolare momento) non sarei in grado di dire che siamo chiusi e che #stoacasa, anche se con questo non voglio assolutamente criticare chi non se la sente di prestare la sua opera in questo momento così difficile per tutti.
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