Attualità

Industria elettrotecnica ed elettronica. Il futuro secondo Anie

Back reshoring, innovazione tecnologica, fabbrica 4.0. Questi i nuovi capisaldi del comparto manifatturiero italiano associato ad Anie

Da un’indagine condotta presso 107 aziende associate, illustrata nel corso dell’Assemblea Annuale della Federazione, emerge che le imprese Anie hanno intrapreso movimenti di multilocalizzazione prevalentemente verso la Cina e l’Est Europa.
Un processo nato innanzitutto per avvicinarsi al mercato finale, riducendo al contempo i costi della produzione e della forza lavoro, nonché sfruttare la presenza di regimi fiscali agevolati.
Alla domanda “quali sono gli interventi di politica industriale che il Governo dovrebbe approntare per favorire il ritorno del manifatturiero in Italia”, il 30% delle aziende intervistate ritiene infatti che la priorità sia la riduzione del cuneo fiscale, più di un quarto di esse la semplificazione della burocrazia e il 18% del campione la detassazione degli utili in ricerca & sviluppo.

Tuttavia, nell’ambito dei cambiamenti delle dinamiche manifatturiere, stiamo assistendo ad un fenomeno nuovo, noto come back reshoring, che consiste nel riportare in patria i siti produttivi precedentemente delocalizzati all’estero. Secondo recenti studi realizzati dal professor Fratocchi e dal suo gruppo di ricerca Uni-Club MoRe Back Reshoring, l’Italia è il secondo Paese nel mondo per rimpatri produttivi, alle spalle solo degli Stati Uniti e quindi primo in Europa.
Il comparto rappresentato da Anie Confindustria, inoltre, a livello nazionale, vale circa il 20% dell’intero back reshoring, piazzandosi secondo alle spalle solo dell’abbigliamento e delle calzature.
Secondo i risultati dell’indagine realizzata presso le aziende associate, le ragioni considerate molto rilevanti dalle imprese Anie che hanno rilocalizzato i siti produttivi nel periodo 2009-2013 sono state per un terzo del campione il minore controllo qualità della produzione all’estero, seguito dalla necessità di vicinanza ai centri R&S italiani (25%) e dai costi della logistica (22,2%). Vale la pena soffermarsi anche sul perché queste aziende avessero deciso di lasciare l’Italia: avevano infatti delocalizzato le produzioni per il minor costo totale della produzione all’estero (“molto rilevante” per l’86% delle imprese rientrate in patria) e del minore costo del lavoro (75%).

L’indagine realizzata da Anie presso le aziende associate ha inoltre confermato la loro profonda vocazione all’innovazione: il 60% del campione investe in R&S più del 2% del fatturato totale e una folta rappresentanza di imprese particolarmente virtuose, costituita dal 40%, investe addirittura più del 4% del fatturato. Ma sono proprio le aziende che hanno messo in atto politiche di back reshoring a dimostrarsi particolarmente aperte al cambiamento tecnologico, all’innovazione e ai nuovi modelli organizzativi. Per quanto riguarda l’avvenuta adozione di tecnologie ICT e ITS (Internet of Things and Services), tra le imprese che sono rientrate abbiamo un picco del 60% contro il 50% della totalità delle imprese Anie, e fra esse nessuna si dichiara non interessata a queste trasformazioni, che vanno verso l’adozione di nuovi modelli organizzativi (fabbrica 4.0). Inoltre, tra le aziende interessate dal fenomeno, il 90% ritiene che i nuovi standard organizzativi di impresa saranno una realtà entro un periodo che va da 1 a 3 anni.
Sulla sensibilità nei confronti dell’innovazione, appare particolarmente significativo notare come secondo le aziende che sono rientrate, i principali meccanismi di stimolo siano tutti rivolti al miglioramento del prodotto finale: per il 90% di esse è questo lo scopo principale che spinge ad innovare (la corrispondente quota della totalità delle aziende Anie è l’80%). Tra i principali ostacoli all’innovazione, invece, la mancanza di fonti di finanziamento esterne è quello primario a detta del 43% delle aziende in totale, con un picco del 75% tra le aziende che hanno sperimentato il back reshoring. Ma se la seconda ragione per il totale delle aziende Anie, con una quota del 40%, è il costo elevato dell’innovazione e la mancanza di risorse interne, questa percentuale scende radicalmente se si guarda solo alla segmentazione delle aziende che sono rientrate.

Negli ultimi dieci anni, la storia dell’industria manifatturiera è cambiata radicalmente. I principali fattori scatenanti, neanche a dirlo, sono stati il clima recessivo e la contemporanea crescita delle economie emergenti a livello globale. A fronte di uno scenario internazionale estremamente mutato, che dal 2009 ha cambiato irreversibilmente le dinamiche mondiali di domanda e offerta, le aziende italiane hanno dovuto resistere alla crisi.
Se lo scenario muta, anche le aziende di Anie Confindustria sono pronte a farlo: il 72% del campione pensa che il passaggio a un nuovo modello organizzativo d’impresa avverrà già entro il 2017. Per il 65% degli intervistati, inoltre, l’adozione di un nuovo standard industriale è un processo già concretamente in atto.
Secondo l’indagine di Anie, infatti, la stragrande maggioranza dei processi di produzione attuali è supportato dalle tecnologie ICT (Information and Communication Technology); con l’attuale introduzione dell’Internet of Things and Services, la forma più evoluta di automazione industriale, l’avvicinamento alla fabbrica del futuro è già di fatto una realtà.