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L’installatore in tribunale: il caso del collaboratore inesperto

Lavorare con apprendisti, colleghi o subalterni comporta sempre un’assunzione di ulteriori obblighi, soprattutto in tema di sicurezza. Vi raccontiamo le conseguenze (gravissime) del gesto incauto di un apprendista chiamato a ripristinare il funzionamento dell’idromassaggio di una piscina.

Il ruolo dei collaboratori dell’installatore risulta rilevante con riferimento alle responsabilità che quest’ultimo assume nei loro confronti, in particolare in termini di sicurezza sul lavoro. Se infatti ci si augura sempre che tutto proceda per il meglio occorre comunque prestare particolare attenzione a tali profili, innanzitutto perché si tratta della sicurezza delle persone ma anche in ottica di autotutela per evitare di trovarsi nella situazione che descriveremo di seguito.

Il fatto

Il titolare di un’impresa individuale viene incaricato dei lavori di ripristino del funzionamento dell’idromassaggio e dei faretti subacquei di illuminazione di una piscina, e ne affida l’esecuzione effettiva a un proprio parente senza essersi accertato dell’idoneità di quest’ultimo – che infatti risulterà avere la qualifica di apprendista installatore idraulico e pertanto non abilitato all’esecuzione di lavori sugli impianti elettrici ai sensi di legge.

Purtroppo nel corso dei lavori l’imperizia del collaboratore – che opera privo di qualsiasi dispositivo di protezione personale – comporta che questi non disattivi l’impianto elettrico della piscina prima di effettuare la riparazione e venga così colpito da una scarica elettrica che ne provoca la morte. In particolare, il tragico evento viene ascritto all’utilizzo di una pinza metallica a pappagallo e di una tenaglia da carpentiere prive di manici isolanti e pertanto del tutto inadeguate per lavori elettrici.

Sotto un primo profilo non vi è dubbio che l’installatore abbia affidato al proprio collaboratore, con qualifica di apprendista installatore idraulico, l’incarico di svolgere un intervento di riparazione in una piscina che richiedeva un’attività sull’impianto elettrico, estranea pertanto alla qualifica dell’operaio stesso. Ne consegue che sulla base dei fatti esposti l’installatore (che qui si configura come datore di lavoro) ha omesso di dare al proprio dipendente un’adeguata informazione e formazione in materia di salute e sicurezza, con particolare riferimento al posto di lavoro ed alle mansioni espletate dal collaboratore, né ha fornito al lavoratore i necessari ed idonei dispositivi di protezione individuale, permettendogli inoltre l’accesso – pur in mancanza di adeguate istruzioni – a zone che lo esponevano ad un rischio grave e specifico (come infatti purtroppo accaduto).

Occorre tuttavia rilevare che il collaboratore avrebbe comunque potuto (e dovuto, per la propria sicurezza!) ottemperare ad alcune semplici regole di condotta appartenenti all’uomo comune, come quella di disinserire il quadro elettrico prima di operare sull’impianto. Premesso infatti che anche il collaboratore stesso dovrebbe ragionevolmente tutelare la propria sicurezza (e quella delle altre persone presenti sul posto di lavoro) appare evidente che questi è venuto meno ad elementari norme di cautela e prevenzione che non sono appannaggio esclusivo di un operatore tecnico e qualificato, ma a qualsiasi soggetto dotato di un livello medio di scolarizzazione. In tal senso, considerato il fatto che il decesso del collaboratore risulti direttamente imputabile al mancato disinserimento dell’interruttore generale della corrente elettrica prima di intervenire sul quadro elettrico della piscina, ci si potrebbe porre il dubbio che tale condotta sia stata da sola sufficiente ad interrompere il nesso causale che collega il decesso alla responsabilità dell’installatore.

Ma allora in questo caso…

L’installatore è responsabile per l’infortunio mortale?

Si tratta di stabilire se all’installatore possa essere o meno ascritta la morte del proprio collaboratore (ovviamente a titolo di colpa). Si deve per prima cosa considerare che la principale linea di difesa dell’installatore nel tentativo di interrompere il nesso causale tra il tragico evento e la propria responsabilità sembri fondarsi sul comportamento tenuto dal lavoratore, in quanto irragionevole ed imprevedibile. In altri termini, se l’unica causa del decesso si dovesse rivenirsi nel comportamento assolutamente imprevisto ed imprevedibile della vittima stessa – che ha effettuato il lavoro senza il previo distacco della corrente elettrica – si potrebbe tentare di escludere la responsabilità dell’installatore che ha dato incarico al proprio collaboratore di compiere un lavoro che, con la normale diligenza, non ne avrebbe cagionato la morte.

Il comportamento imprudente del lavoratore ne ha effettivamente comportato un concorso di colpa (cui si potrebbe aggiungere una possibile cooperazione colposa del proprietario della piscina). Tuttavia occorre fare un passo indietro, perché se si intende prendere in considerazione il momento iniziale della vicenda occorre risalire all’istante in cui l’installatore ha liberamente voluto inviare un proprio collaboratore con qualifica inidonea ad eseguire lavori su una piscina che implicassero contatti con apparecchiature elettriche. Non solo: l’operaio inviato era privo non solo della necessaria formazione e specializzazione, ma pure di strumentazione e di dispositivi di sicurezza atti al contatto anche eventuale con l’elettricità.

Inoltre, anche se vi è stato un concorso di colpa, la condotta del collaboratore non risulta presentare quelle caratteristiche di assoluta anomalia ed eccezionalità tali da farlo rientrare nella categoria della abnormità e quindi da renderlo suscettibile di integrare una causa sopravvenuta idonea ad interrompere il rapporto di causalità.

Il caso è chiuso

Nel caso sopra descritto l’installatore quale datore di lavoro risulta responsabile ai sensi dell’art. 589, commi 1 e 2 cod. pen. dell’infortunio mortale occorso al proprio collaboratore. Non può ritenersi imprevedibile l’evento così come realizzatosi – nonostante la serie di sfortunate concause che vedono il concorrere di mancata disattivazione dell’energia elettrica da parte del lavoratore, mancato funzionamento del differenziale, contatto tra gli strumenti da lavoro e le parti elettriche – alla luce della giurisprudenza di Cassazione, che ritiene come la prevedibilità dell’evento non possa riguardare la configurazione dello specifico fatto in tutte le sue più minute articolazioni, ma deve riferirsi alla classe di eventi in cui si colloca quello oggetto del singolo caso e che il giudizio di prevedibilità deve essere formulato facendo riferimento alla concreta capacità dell’agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualità personali.

Non si tratta quindi di un semplice coefficiente di probabilità statistica, ma di un giudizio di alta probabilità logica fondato sia sulla deduzione in base alle generalizzazioni scientifiche, sia su un giudizio induttivo sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto.

Ed in questo caso il rischio elettrico era ampiamente prevedibile, come pure e lo era la circostanza che inviando per l’intervento un apprendista idraulico, questo potesse avere delle modalità di esecuzione del lavoro assolutamente imprudenti.